Giberti, Gian Matteo, cardinale, e vescovo di Verona (1495-1543)

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Gian Matteo Giberti Immagine tratta da S.Caponetto: La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento,

per gentile concessione della Claudiana editrice

Gian Matteo Giberti, figlio naturale del capitano della marina genovese, Francesco Giberti, nacque a Palermo nel 1495 e nel 1513 entrò al seguito del cardinale Giulio de' Medici, il futuro papa Clemente VII (1523-1534), diventando in breve tempo un tale esperto in greco e latino da essere ammesso come membro di rilievo dell'Accademia Romana. Sotto la protezione della potente famiglia Medici, G. fece una rapida carriera, diventando segretario personale dello stesso cardinale Giulio de' Medici e svolgendo attività diplomatica nel 1521 presso l'imperatore Carlo V (1519-1556), per conto di un altro ecclesiastico della famiglia Medici, il papa Leone X (1513-1521), cugino di Giulio.

Nel 1521 G. divenne sacerdote e fu anche membro dell'ordine dei teatini, fondato da San Caietano (1480-1547) e dal cardinale Gian Pietro Carafa [il futuro papa Paolo IV (1555-1559)]. All'elezione del suo protettore Giulio de' Medici a papa nel 1523, G. fu immediatamente nominato datario (il prelato che ha l'incarico nella Curia Romana di occuparsi delle concessioni dei benefici) e nell'anno successivo, su richiesta del doge di Venezia Andrea Gritti (1523-1538), divenne vescovo di Verona. Tuttavia egli continuò a risiedere a Roma fino al 1528, dove svolse un'intensa attività diplomatica: sua fu l'idea della Lega anti-imperiale tra Francia, Venezia, Milano e Papato, detta di Cognac, del 1526. Dopo il Sacco di Roma del 6 maggio 1527, G. scampò la morte per un pelo: messo in prigione dalle truppe imperiali, riuscì a fuggire avventurosamente nel 1528 a Verona, dove visse fino alla sua morte, sebbene fosse chiamato diverse volte a Roma da Papa Paolo III (1534-1549) per occuparsi dei preparativi per il Concilio di Trento (1545-1563).

A Verona, G. diede luogo ad una vigorosa riforma della diocesi, il cui clero era in uno stato disastroso: forte dei suoi appoggi in alto loco a Roma, G. emanò nuove costituzioni diocesane (le cosiddette Costitutiones Gibertinae), riformò i monasteri, migliorò la preparazione dei sacerdoti, pubblicò un catechismo per fanciulli, installò una stamperia nel palazzo vescovile per pubblicare i classici della Patristica, si circondò di validissimi collaboratori. Quest'azione di riforma, ammirata anche da San Carlo Borromeo (1538-1584), richiamò a Verona diversi intellettuali evangelisti, come il predicatore reatino Tullio Crispoldi, l'autore del Dialogus (il catechismo per minori menzionato) e Marcantonio Flaminio, che visse a Verona per 10 anni.

Dal punto di vista dottrinale, G. fu un erasminiano ed un evangelista spirituale: cercò di lavorare ad una riforma della Chiesa cattolica dal suo interno, che sperò potesse affermarsi in Italia attraverso la repubblica di Venezia, e quindi non sorprende che fosse coerentemente severo nell'opporsi alle infiltrazioni del luteranesimo della sua diocesi. Ebbe anche la possibilità di leggere, nel 1542, il Beneficio di Christo di Benedetto Fontanini, ma, dopo un'impressione favorevole iniziale, lo fece ripubblicare opportunamente censurato.

Tuttavia l'amicizia con il vicario generale dei Cappuccini Bernardino Ochino, nonostante la deplorazione pubblica del G. per la scelta dell'amico di convertirsi nel 1542 al luteranesimo, e il favore concesso a personaggi, come Tullio Crispoldi o l'ebraista fiammingo Jan van Kampen (nome umanistico Campensis) (m. 1538), autore di alcune lezioni ai collaboratori del vescovo di Verona sulle lettere di San Paolo (van Kampen insisteva pericolosamente sui concetti di giustificazione per fede e predestinazione), misero G. al centro di un'inchiesta dell'Inquisizione per eresia: solo la sua morte, avvenuta il 30 dicembre 1543, poté sottrarlo da questa situazione.