Gribaldi Mofa, Matteo (1506-1562)

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Copertina del De Methodo ac ratione studenti di Matteo Gribaldi Mofa

La vita

Matteo Gribaldi Mofa nacque a Chieri, vicino a Torino, nel 1506. Dopo la laurea, divenne professore di diritto civile all'Università di Padova, dove si accostò alle idee riformiste dopo aver letto il Trattato del Battesimo e della Cena del frate minorita Camillo Renato (alias Paolo Ricci).

Nel proprio ruolo di docente, fu quindi in grado di influenzare e convertire diversi discepoli, fra cui, più tardi (1552-54), il polacco Pietro Gonesius (Goniadz). Come apprezzato professore universitario, G. svolse la sua attività sia in Italia (Padova e Perugia) che in Francia (es. Grenoble). Durante il suo soggiorno in quest'ultima città francese, G. acquistò nel 1535 ca. il castello di Farges, nel Pays de Gex, al tempo sotto la giurisdizione del Cantone Berna.

La sua attività accademica lo costrinse spesso ad un faticoso pendolarismo tra Grenoble, Farges, Padova (alle sue lezioni assisteva spesso il vescovo di Capodistria, Pier Paolo Vergerio e nella città patavina egli strinse rapporti di amicizia con Lelio Sozzini, figlio del suo collega Mariano Sozzini) e Torino, dove viveva la famiglia. Riuscì in ogni modo a pubblicare nel 1541 il suo De methodo ac ratione studendi libri tres, uno dei primi esempi d'approccio metodologico agli studi giuridici.

Nel 1546 G. partecipò ai Collegia Vicentina, le riunioni di tradizione antitrinitaria, e nel 1548 rimase colpito dalla vicenda di Francesco Spiera, l'avvocato di Cittadella (Padova) convertito alla dottrina riformista e costretto ad abiurare, poi morto per la disperazione dell'atto compiuto, triste episodio raccontato anche da Celio Secondo Curione. Sull'argomento G. scrisse nel 1549 un'Historia de quondam quem hostes Evangelii in Italia coegerunt abijcere agnitam veritatem, basata sui diversi colloqui che il giurista ebbe direttamente con lo Spiera.

Questa straziante agonia accelerò la decisione di G. di recarsi nel 1552 nella Ginevra calvinista, dove continuò la sua opera di docenza presso la locale università. Ma nel 1553 egli prese una posizione coraggiosa nel caso Serveto, visitando lo sfortunato antitrinitario in prigione, manifestando il suo accordo in materia dogmatica con il pensiero del medico spagnolo e chiedendo inutilmente un colloquio a riguardo con Calvino. Successivamente, indignato per la morte sul rogo del Serveto, egli scrisse (in forma anonima) l'Apologia pro Serveto, corretto e commentato da Curione e pubblicato a Basilea.

Nello stesso periodo G. ospitò un altro contestatore italiano di Calvino, Giovanni Valentino Gentile, che, povero in canna, fu aiutato da G. fino al suo arresto da parte del balivo di Gex, al quale Gentile fece in seguito un'inopportuna dedica su un suo scritto sulla sua fede antitrinitariana: la cosa ovviamente fece andare su tutte le furie il magistrato svizzero.

Nel 1555 un ulteriore tentativo d'incontro con Calvino (per la verità richiesto da Calvino stesso) ebbe un epilogo negativo (il riformatore ginevrino si rifiutò di stringergli la mano, se G. non avesse cambiato idea sulla propria dottrina religiosa) e da questo momento Calvino si mise a perseguitare il giurista torinese.

Nel frattempo, i suoi scritti religiosi gli costarono il licenziamento dall'università di Padova e quindi G. fu lieto di accettare l'invito [su suggerimento di Bonifacio Amerbach (1495-1562) e di Pier Paolo Vergerio] del Duca Christoph del Württemberg (1550-1568) di recarsi ad insegnare all'università di Tübingen (in Germania), ma anche qui non ebbe vita facile: infatti, dopo solo sei mesi, nel giugno 1557, fu convocato dal senato del Württemberg, in seguito alle perplessità sulla sua fede, in materia di Trinità, proprio da parte di Vergerio, istigato dal solito Calvino.

G. dapprima chiese tre settimane di tempo per preparare la sua difesa, ma poi improvvisamente, consigliato da amici a corte, decise di fuggire da Tübingen per rifugiarsi nel suo castello di Farges. Tuttavia anche qui fu raggiunto dalla lunga mano della giustizia: G. fu arrestato dalle autorità di Berna (nella cui giurisdizione stava Farges) sotto l'accusa di triteismo, a causa del materiale compromettente trovato nella sua biblioteca di Tübingen e dei libretti di propaganda, che egli faceva diffondere nel Bernese.

Dopo un periodo di quaranta giorni in prigione, egli dovette firmare un atto di fede e in seguito fu espulso, per un breve periodo, dal territorio della repubblica di Berna nel 1557. Infatti, già nel 1558, G. era di ritorno a Farges, da dove inviò delle missive al senato di Tübingen, nell'inutile tentativo di farsi riaccettare come docente all'università: fu il Vergerio in persona, che, avendo analizzato la confessione di fede inviata al senato, consigliò di respingere la richiesta.

G. tornò quindi a Grenoble ad insegnare come professore e qui morì di peste nel 1564.

La dottrina

Come risulta dal suo scritto Religionis christianae progymnasmata, G. fu un propugnatore del triteismo (dottrina poi confluita nell'antitrinitarismo) funzionale, che diffondeva la nozione che le tre persone della Trinità erano tre spiriti o sostanze spirituali, con il Figlio e lo Spirito Santo inferiori a Dio Padre, unico vero Dio e fonte della divinità. Questa dottrina è stata anche definita monoteistica emanistica.