Valentini (o Valentino) da Modena, Filippo (m. ca. 1560)

L'umanista Filippo Valentini (o Valentino) nacque a Modena, nipote del preposito (prevosto) Bonifacio Valentini, tacciato, a sua volta, di luteranesimo. V. partecipò attivamente al movimento di Riforma a Modena, entrando a far parte dell'Accademia modenese, fondata dal medico Giovanni Grillenzoni, allievo di Pietro Pomponazzi, che riuniva i principali notabili della città, come, ad esempio, Ludovico Castelvetro, eminente studioso di Dante e Petrarca, ed il professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per discutere di teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre Scritture, utilizzando direttamente le fonti originarie, un modus operandi caro alla Riforma. In particolare V. si distinse per aver letto e commentato in pubblico il Vangelo di San Matteo, suscitando le ire dei domenicani.

Tale fu la popolarità raggiunta dall'Accademia che il cardinale di Modena, Giovanni Morone, coadiuvato dal cardinale Gasparo Contarini, costrinse nel settembre 1542 gli aderenti a firmare un formulario di fede, gli Articuli orthodoxae professionis, che Castelvetro si rassegnò a sottoscrivere: non così per il Porto e il V., che preferirono allontanarsi dalla città. Dopo il suo rientro, V. continuò imperterrito nel professare la sua fede luterana a tal punto che una breve papale di Paolo III (1534-1549) del maggio 1545, indirizzata al Duca Ercole II d'Este (1543-1559), sollecitò l'arresto dell'umanista modenese.

V. ritenne più prudente ritirarsi nella sua tenuta di campagna, ma nel 1548 accettò il titolo di podestà di Trento offertogli dal principe cardinale Cristoforo Madruzzo (1512-1578, principe di Trento: 1539-1567). Successivamente rientrò a Modena, dopo aver pagato una cauzione. Tuttavia V. fu nuovamente indagato nel 1550 e dovette accettare di abiurare, anche se solamente in sede extragiudiziale, davanti al nuovo vescovo di Modena, il moderato domenicano cardinale Egidio Foscarari (1512-1564, vescovo di Modena: 1550-1558 e 1560-1564). Il nome di V. fu fatto ancora, l'anno successivo, tra coloro che erano rimasti favorevolmente impressi dalla predicazione eterodossa di Giovanni Francesco da Bagnacavallo.

Ma oramai i processi contro gli eretici a Modena erano iniziati, e, nonostante la benigna tolleranza del cardinale Foscarari, nell'estate 1556 V., lo zio Bonifacio, Ludovico Castelvetro ed il libraio Antonio Gadaldino furono convocati a Roma da parte del tribunale dell'Inquisizione di Papa Paolo IV (1555-1559). Nonostante un lungo tergiversare, nel maggio 1557 Gadaldino fu imprigionato, processato e dovette abiurare nell'ottobre 1559; Bonifacio Valentini si presentò spontaneamente, fu processato e anch'egli dovette abiurare (non gli venne neppure risparmiata l'onta di dover portare l'abitello); perfino lo stesso cardinale Foscarari fu sospettato di eresia da parte dell'Inquisizione nel 1558 e fu imprigionato su ordine di Paolo IV. Benché non si poté provare la sua eterodossia, solamente con il papa successivo, Pio IV (1559-1565), Foscarari fu assolto e poté ritornare al suo precedente incarico.

A Castelvetro e V. non rimase che la fuga dalla città: soprattutto quest'ultimo, attivamente ricercato in quanto relapso (avendo già abiurato), era in serio pericolo di essere giustiziato, se fosse caduto nelle mani dell'Inquisizione. Egli decise quindi la via dell'esilio in Valtellina, ma, prima di fuggire, scrisse una lettera al Duca Ercole II d'Este (1543-1559) per comunicargli la decisione di andare in esilio e per rimproverargli il fatto di permettere all'Inquisizione di stracciare i suoi subditi et svergognarli. Questo ricordava un manoscritto del 1542, in cui V. profeticamente indicava la difesa dei propri cittadini come compito principale del signore locale. Tuttavia, considerando che, dal 1554, Ercole teneva segregata nel palazzo ducale (agli arresti domiciliari, si direbbe oggigiorno) la moglie, di fede riformata, Renata d'Este, non si fatica a credere che l'appello di V. sia caduto nel vuoto.

Nel 1557, dunque, V. andò in esilio in Valtellina (ai tempi parte del territorio elvetico del Cantone Grigioni, a maggioranza protestante), stabilendosi dapprima a Chiavenna e poi a Piuro (dove si sposò), ma non riuscì mai ad inserirsi nella comunità riformata locale, perché, nel frattempo, aveva sviluppato idee troppo radicali, d'ispirazione ariana e anabattista. Censurato a riguardo a Chiavenna, egli visse in solitudine gli ultimi anni della sua vita, morendo, presumibilmente, verso il 1560.