Bartoccio (o Bartocci), Bartolomeo (1535-1569)

Bartolomeo di Giovanni Bartoccio (o Bartocci) nacque a Città di Castello (in provincia di Perugia) nel 1535 e si accostò alle dottrine riformiste nel 1555, apprese da un giovane di Gubbio, tale Fabrizio Tommasi, durante l'assedio di Siena.

Poco dopo, per essersi rifiutato di confessarsi e comunicarsi durante una malattia, fu convocato dall'Inquisizione della sua città natale, ma si sottrasse all'arresto, fuggendo dapprima a Siena, poi a Ginevra. Nel 1556 B. entrò a far parte della Chiesa degli esuli italiani a Ginevra, presieduta dal senese Lattanzio Ragnoni dal 1557, anno in cui B. ottenne la cittadinanza ginevrina.

A Ginevra B. si distinse per zelo religioso e capacità negli affari, diventando mercante di seta e qui si sposò con una connazionale di nome Maddalena, da cui ebbe tre figli: Paola, Dianora e Andronico [pare che i figli abbiano avuto l'onore di avere come padrini tre noti riformatori, come Théodore de Bèze, il nobile veneziano Andrea da Ponte (1508-1585, fratello del futuro doge Niccolò da Ponte) e il professore universitario modenese Francesco Porto (1511-1581)].

Nel 1567, saputo delle difficoltà dei evangelici nel sud dell'Italia (pochi anni prima, nel 1561, erano state distrutte le colonie valdesi in Calabria), B. intraprese un viaggio, camuffato da giro per motivi di lavoro, per portare conforto ai fratelli in fede in Sicilia, a Napoli e a Roma, ma, nella città capitolina, la sua presenza fu segnalata al cardinale Scipione Rebiba (1504-1577), all'epoca vescovo aggiunto di Chieti, che, a sua volta, notificò la partenza per Genova di B. al doge della città ligure Ottavio Gentile Odorico (1565-1567).

Una volta messo piede a Genova, B. fu immediatamente arrestato il 20 ottobre 1567 ed estradato a Roma, in seguito alla richiesta di Papa (San) Pio V (1566-1572). Quest'atto seguiva altre drastiche decisioni di Pio V prese nei confronti dei riformati italiani nella seconda metà del 1567: il 12 giugno fu condannato Mario Galeota, il 9 agosto fu emesso un ordine di estradizione per Aonio Paleario (sarebbe stato impiccato e arso sul rogo tre anni dopo, 3 luglio 1570) e il 1 ottobre fu decapitato e arso Pietro Carnesecchi.

Ma nel caso di B. si aprì una delicata crisi internazionale derivata dalle forti pressioni e dalle minacce di boicottaggio commerciale nei confronti della repubblica di Genova, paventate dalle città protestanti di Ginevra e Berna: quest'ultima aveva, come si dice oggigiorno, "congelato" delle somme di denaro genovese, come atto di ritorsione. Ginevra, da parte sua, rivendicava un trattamento equo nei confronti di un suo concittadino (come già detto, B. aveva ottenuto la cittadinanza ginevrina nel 1557).

Per questo motivo, il doge neo-eletto Simone Spinola (1567-1569) si fece portavoce, presso il papa, della richiesta per un atto di clemenza nei confronti del prigioniero, ma non ci fu nulla da fare: Pio V, vale a dire l'ex cardinale e grand'inquisitore generale Michele Ghisleri, era uno degli acerrimi nemici della Riforma e nel marzo 1568 B. comparve davanti all'Inquisizione romana. Nonostante i tentativi di farlo abiurare, egli rimase coraggiosamente sulle sue posizioni riformate e fu per questo bruciato vivo sul rogo a Ponte Sant'Angelo il 25 maggio 1569.

Rimasti soli al mondo, la vedova e i tre figli di B., a Ginevra, vennero in seguito generosamente aiutati, mediante un lascito, da parte di Andrea da Ponte.