Giuliano d'Eclano (ca. 386-454)

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Vista delle rovine di Eclano

 

Giuliano, uno dei più ferventi fautori del pelagianismo, nacque nel 386 ca., studiò filosofia e dialettica e, nel 416, diventò vescovo di Eclano, l'antica Aeclanum, città, ora non più abitata, in comune di Mirabella Eclano (Benevento).

Nel 418 fu convocato il sinodo di Cartagine, dove, in presenza di 200 vescovi, furono stabiliti otto (o nove) dogmi, che confutavano il pelagianismo, riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da papa Zozimo (417-418), sono poi diventati articoli di fede per la Chiesa Cattolica.

Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore Onorio (395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418 un ordine d'espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi: furono costretti all'esilio, oltre a 18 vescovi italiani, Celestio e Giuliano, che si era rifiutato di firmare l'enciclica papale. Da quel momento G. diventò il leader spirituale dei pelagiani e si impegnò lungamente in una diatriba epistolare con Sant'Agostino, di cui sono rimasti molti scritti.

Dal 421 G. fu ospite di Teodoro di Mopsuestia in Cilicia ed anche da lì egli continuò la battaglia di lettere con Agostino. Dopo la morte di Teodoro nel 428, G. si recò a Costantinopoli con altri vescovi, dal patriarca Nestorio, dove ritrovò anche Celestio. Nella capitale bizantina, G. entrò in polemica con un tale Mario Mercatore, amico di Agostino, i cui scritti anti-pelagiani influenzarono talmente l'imperatore Teodosio II (408-450), che questi decise l'espulsione di tutti i pelagiani nel 430.

G. continuò, comunque, la propaganda pelagiana e nel 439 cercò di rientrare nella sua sede di Eclano, ma ne fu impedito da Papa Sisto III (432-440), lui stesso pelagiano in gioventù, e morì qualche anno più tardi, durante il regno di Valentiniano III (425-455), forse nel 454 (secondo altre fonti molto prima nel 441 o nel 445).

Il pensiero

Nella diatriba pelagiana sul peccato originale, G., fine dialettico, aggiunse altri elementi di discussione: egli ricusò il concetto agostiniano che Dio avrebbe danneggiato tutti a causa dell'errore di un solo uomo, Adamo, che era da considerare semplicemente un cattivo esempio.

Inoltre G. respinse il concetto manicheo di Agostino di un mondo pieno di sofferenze per le anime peccatrici, dove la morte era la punizione per il peccato originale: per G. ciò che era naturale non poteva essere malvagio e le scelte umane erano giuste o sbagliate, ma certo non influenzavano i fenomeni naturali, inclusa la morte.