Pelagio Britannico (ca. 360-427) e pelagianismo e predestinazionismo

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Ritratto immaginario di Pelagio Britannico

 

Può l'uomo salvarsi con le sue sole forze, senza la Grazia divina o è predestinato alla salvezza o alla dannazione eterna? Questo dilemma, ricorrente nella storia del pensiero Cristiano (basti solamente pensare al dibattito nell'ambito del Protestantesimo), fu posto, per primo, dal monaco britannico Pelagio.

La vita

Pelagio Britannico, di nome e di fatto poiché era nato in Britannia (o in Irlanda) nel 350-360 ca., fu un monaco teologo di grande cultura, vissuto a Roma almeno dal 400, altamente rispettato da molti personaggi dell'epoca, tra cui quel Sant'Agostino, che tuttavia diventò in seguito il suo acerrimo avversario.

A Roma egli conobbe Celestio, un uomo di legge di origini nobili, diventato suo amico e con il quale P. fuggì, in seguito all'invasione e sacco di Roma da parte dei Visigoti di Alarico nel 410. I due si rifugiarono dapprima ad Ippona, in Africa settentrionale, e poi a Cartagine, dove rielaborarono la dottrina del pelagianismo. Durante il soggiorno in Africa, P. conobbe solo occasionalmente il suo futuro avversario, Sant'Agostino, impegnato all'epoca nella disputa contro i donatisti. Successivamente, P. si trasferì in Palestina, mentre Celestio, rimasto in Nord Africa, fu condannato dal sinodo di Cartagine nel 411 per le sue dottrine. In Palestina P. produsse svariati scritti, dei quali ci sono giunti una lettera alla nobile romana Demetria, residente a Cartagine, contenente i principi della sua filosofia e un lavoro, De natura, del 415, condannato da Sant'Agostino nel suo De natura et gratia.

Nel luglio del 415 San Girolamo e Paolo Orosio, un prete spagnolo, discepolo di Sant'Agostino, cercarono di far condannare P. da parte di un sinodo a Gerusalemme, presieduto dal vescovo della città, Giovanni, ma sia l'atteggiamento del vescovo, favorevole al pelagianismo, che l'ottima autodifesa di P. fecero sì che il sinodo non prendesse alcuna decisione, rimandando il tutto a Papa Innocenzo I (401-417). Simile risultato ebbe un ulteriore sinodo nel dicembre dello stesso anno a Diospolis, convocato in seguito alla denuncia dei vescovi francesi, Ero d'Arles e Lazzaro d'Aix.

Tuttavia l'offensiva dei cattolici ufficiali fu senza sosta: l'anno successivo, nell'autunno del 416, furono convocati ben due sinodi, il primo a Cartagine, con la presenza di 67 vescovi ed il secondo a Milevi (in Numidia) con la presenza di 59 vescovi. Entrambi condannarono il pelagianismo e i relativi atti, rinforzati da una lettera di Sant'Agostino e di altri quattro vescovi, furono inviati a Papa Innocenzo I per l'avvallo. Il papa, pur precisando la suprema autorità di Roma nelle decisioni in materia dottrinale, in un sinodo a Roma nel 417 condannò il pelagianismo.

Ma quando tutto sembrò volgere al meglio per la corrente antipelagiana, Papa Innocenzo I morì ed il suo successore Zozimo (417-418) fu convinto da Celestio dell'ortodossia del pelagianismo: il papa prosciolse la dottrina da ogni accusa, anzi addirittura censurò Sant'Agostino e i vescovi africani per la frettolosità delle loro decisioni. Successivamente, Zozimo corresse il tiro, dando ai vescovi il tempo per portare le prove dell'eresia pelagiana. Per ottemperare a questa disposizione papale, fu convocato il sinodo di Cartagine del 418, dove, alla presenza di 200 vescovi, furono stabiliti otto (o nove) dogmi di confutazione del pelagianismo, riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, confermati da Papa Zozimo, sono diventati poi articoli di fede per la Chiesa Cattolica.

Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore Onorio (395-423) scese in campo a fianco della Chiesa cattolica, emanando nel 418 un ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi: furono costretti all'esilio Celestio e Giuliano vescovo di Eclano (vicino a Benevento in Campania). L'ordine non colpì P., che ormai da tempo risiedeva in Palestina e dove probabilmente morì nel 427 ca.

La dottrina

La dottrina di P. fu sviluppata come reazione al monachesimo ascetico di San Girolamo e al fatalismo manicheo, molto diffuso all'epoca: si pensi che anche Sant'Agostino stesso era stato manicheo in gioventù. Secondo P., gli uomini non erano predestinati (concetto di Sant'Agostino elaborato da una sua interpretazione molto personale del pensiero di San Paolo), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna: non era necessario quindi l'intervento della Grazia divina. Questo concetto, comunque, non era nuovo, essendo già stato abbozzato dal grande teologo Origene all'inizio del III secolo, e la conseguenza di questo revival fu che l'origenismo stesso fu condannato nel 401 dal vescovo di Alessandria, Teofilo.

Il pelagianismo inoltre negava la trasmissione del peccato originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano, anche se sembra che questo concetto sia stato per primo introdotto da un tale Rufino il Siriano, aderente alla setta, e solo successivamente ripreso da P. Poiché non sussisteva il peccato originale, il battesimo era visto da P. solamente come un momento di accoglimento nella Chiesa: quindi, se il bambino moriva senza battesimo, era ugualmente accolto in paradiso. Questa posizione sul peccato originale fu vigorosamente contestata da Sant'Agostino, convinto assertore che il peccato originale fosse ereditario ("siamo tutti peccatori") e collegato all'atto sessuale (il furore sessuofobico di Agostino era leggendario).

Le idee pessimistiche di Agostino, molto influenzate da una visione di tipo manicheo, trionfarono sulla scelta umana di P. e influenzarono il Cristianesimo per secoli. Del resto la libertà di decisione dell'uomo, secondo il pensiero di P., mal si sposava con un apparato ecclesiastico, che non aveva altrimenti ragione di esistere, se non di aiutare l'uomo, perenne peccatore, ad evitare la dannazione eterna.

Il pelagianismo dopo la morte del fondatore

Dopo la morte di Pelagio nel 420 ca., questa corrente fu propugnata soprattutto da Giuliano d'Eclano, che, dal suo esilio in oriente, s'impegnò in una disputa decennale con Sant'Agostino. Tuttavia, un fatto alquanto imprevedibile segnò il destino dei pelagiani: il supporto dato loro dal patriarca di Costantinopoli, Nestorio. Quando il nestorianesimo fu condannato dal Concilio d'Efeso del 431, anche il pelagianismo seguì la stessa sorte e fu perseguitato in Oriente dall'imperatore Teodosio II (408-450) fino alla sua estinzione.

In Occidente essa sopravvisse più a lungo nelle isole Britanniche, particolarmente in Galles ed in Irlanda, ed in Gallia, dove fu rielaborata dal monaco Giovanni Cassiano sotto forma di semi-pelagianismo, condannato dal II sinodo d'Orange del 529.