Semeria, Giovanni (1867-1931)

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Giovanni Semeria

I primi anni

Il “Servo di Dio” (un titolo – caratteristico della Chiesa cattolica - attribuito alle persone, per le quali è in corso un processo canonico di beatificazione) Giovanni Semeria nacque il 26 settembre 1867 a Coldirodi, una frazione di Sanremo (in provincia d’Imperia), orfano, già prima della nascita, del padre, l’omonimo Giovanni Semeria, morto alcuni mesi prima di colera, contratto sotto le armi durante la terza guerra d’indipendenza del 1866.
Da giovane S. espresse, contro il parere della madre, l’intenzione di intraprendere la carriera religiosa nell’ordine barnabita (denominati anche Chierici Regolari di San Paolo): entrò quindi nel noviziato del Carrabiolo, a Monza a quindici anni. Dopo l’emissione della professione religiosa, mediante la formula dei voti, nel febbraio 1887, S. studiò teologia, e solo tre anni dopo, il 5 aprile 1890, venne ordinato sacerdote.
Da lì, oltre a continuare gli studi universitari [in tutto avrebbe conseguito due lauree, frequentando l’università Gregoriana di Roma, ma avrebbe anche partecipato alle lezioni presso la Regia Università del teorico del marxismo, Antonio Labriola (1843-1904)], S. iniziò la sua carriera come predicatore acclamato nelle basiliche romane (come San Lorenzo in Damaso alla Cancelleria), ma anche quella di rinnovatore del pensiero cristiano, attento alle istanze sociali espresse nel 1891 nell’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII (1878-1903).

L’impegno modernista e le accuse

Egli era favorevole all’incontro tra Chiesa e scienza ed era solito dire “Non c’è dissidio tra la Chiesa e la scienza, ci può essere tutt’al più un malinteso” e cercò anche di stimolare lo scambio di idee tra religiosi e letterati. Decise, infatti, nel novembre del 1897, di fondare a Genova, presso il circolo Sant’Alessandro Sauli, una Scuola Superiore di Religione, che permettesse agli studenti, oltre a fornire una conoscenza ampia e profonda delle scritture, di conoscere anche i letterati e filosofi cristiani dell’epoca, come Antonio Fogazzaro, Friedrich von Hügel, Maurice Blondel.
Questo tipo d’iniziativa raccolse nel 1905 il favore di Papa Pio X (1903-1914), ma fu anche bersaglio di pesanti critiche, come quelle mosse nel 1906 da La Civiltà Cattolica (diretta da Padre Enrico Rosa), che criticò l’uso della scuola da parte di conferenzieri, i quali facevano “l’apoteosi di filosofi e romanzieri … o peggio conducono alla scuola del Santo”, allusione alle simpatie di S. per Fogazzaro e per il suo romanzo Il Santo, messo all’Indice proprio nel 1906.

Gli attacchi della rivista continuarono anche negli anni successivi fino all’accusa a S. d’essere proprio lui il capo di quella corrente modernista, che Pio X stava combattendo così alacremente. Del resto va detto che S. era intervenuto diverse volte sulla rivista In Cammino, moderatamente filo-modernista; aveva firmato (in forma anonima) nel 1904 le Lettres romaines, apparse sugli Annales de philosophie chrétienne (Annali di filosofia cristiana, fondati dal teologo modernista francese Lucien Laberthonnière), ed infine pare che egli avesse effettivamente contribuito alla stesura de “Il programma dei modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X Pascendi dominici gregis”, pubblicato nel 1911. Nonostante tutto ciò, il papa stesso gli permise di pronunciare il giuramento anti-modernista - obbligatorio dal 1910 per tutto il clero – con alcune riserve su quelle parti del testo che egli non approvava.
Nel 1911 fu, ad ogni buon conto, deciso l’esilio dello scomodo barnabita a Bruxelles, dove arrivò il 29 settembre 1912 e dove si occupò immediatamente della misera situazione dei poveri della città belga.

L’impegno per gli orfani di guerra

Successivamente S. fu trasferito nel Canton Ticino, dove lo raggiunse nel 1915 la notizia dell’entrata in guerra dell’Italia. Decise allora di rientrare in patria e di arruolarsi come cappellano militare: venne chiamato ad Udine il 13 giugno 1915 come cappellano del generale Luigi Cadorna (1850-1928) per intercessione della figlia di quest’ultimo, Carla (1887-1951). Qui conobbe Don Giovanni Minozzi (1884-1959), con cui nacque una duratura amicizia e con cui assistette i soldati al fronte. Alla fine della guerra, i due sacerdoti s’impegnarono per gli orfani dei caduti, soprattutto nel sud d’Italia, mediante la fondazione nel 1921 dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia con centinaia di scuole, orfanotrofi e colonie sparsi in tutta Italia. S. fondò inoltre la Congregazione dei Discepoli, l'Istituto delle Suore della Sacra Famiglia e l'Opera Bonomelli per l'Assistenza agli Emigrati.
Un’altra iniziativa di S. fu quella intrapresa, assieme a padre Giovanni Genocchi e a Minozzi, per la risoluzione della cosiddetta “questione romana”, vale a dire l’interruzione dei rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica dopo il 1870.
Il lavoro dei tre prelati fu presentato al Segretario di Stato Vaticano, il Cardinale Pietro Gasparri (1852-1934) e servì come stimolo per le trattative, che condussero alla firma dei Patti Lateranensi del 11 febbraio 1929.

La morte di S.

S. viaggiò spessissimo per raccogliere fondi per i suoi orfani e la continua ed indefessa dedizione alle sue opere lo stroncò a 64 anni: spirò, con il conforto dell’amico don Minozzi, il 15 marzo 1931, mentre visitava uno dei suoi istituti a Sparanise, in provincia di Caserta. E’ ora sepolto a Monterosso, nelle Cinqueterre, in provincia di La Spezia.
S. fu amico di molti famosi personaggi dell’epoca, come Giovanni Pascoli (1855-1912), il già citato Antonio Fogazzaro, Edmondo De Amicis (1846-1908), Giulio Salvadori (1886-1928), Tommaso Gallarati Scotti (1878-1966), Alessandro Casati (1881-1955), don Giovanni Bosco (1815-1888), Padre Agostino Gemelli (1878-1959) e Lev Tolstoj (1828-1910).
Solamente nel 1965, con l’enciclica Guadium et Spes, venne indirettamente, ma pienamente, riabilitata la figura di S, con l’affermazione della necessità (anche ai fini della salvezza dell’anima) che il cristiano debba impegnarsi in opere di carità verso il prossimo, ammalato o bisognoso che sia, proprio come fece, per tutta la sua vita, il barnabita ligure, di cui nel giugno 1984 fu iniziato il processo per la beatificazione.