Spadafora, Bartolomeo (ca. 1510-1566)

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Arma della famiglia Spadafora

Il nobile siciliano Bartolomeo Spadafora nacque a Messina nel 1510 circa, secondogenito di Francesco Spadafora, 3° barone di Venetico, Mazzarrà Sant'Andrea, S. Martino e Solanto e patrizio veneto, e di Melchiorra Moncada, figlia del barone Giovanni Moncada della Ferla. Ebbe un'ottima educazione umanistica e fu avviato dal padre alla carriera diplomatica alla corte dell'imperatore Carlo V (1516-1556), che seguì nel 1536 a Napoli e qui egli iniziò a frequentare i circoli valdesiani, conoscendo Giulia Gonzaga, Pietro Carnesecchi e Bernardino Ochino.

Nel 1546 S. accompagnò l'imperatore in Germania per partecipare alla dieta di Ratisbona, dove fallì il tentativo d'accordo tra cattolici e protestanti. Al rientro in Italia nel 1547, S. si fermò a Roma, presso Vittoria Colonna, che gli fece conoscere il grande artista Michelangelo Buonarroti (1475-1564), ma qui lo raggiunse il mandato di comparizione per eresia davanti al Tribunale siciliano dell'Inquisizione a causa dei suoi trascorsi valdesiani. S. non si presentò affatto e gli furono quindi confiscati i beni, tuttavia il tentativo dell'Inquisizione siciliana di coinvolgere i colleghi romani portò invece ad una breve d'assoluzione per il nobile messinese da parte del papa, Paolo III (1534-1549), soprattutto in seguito all'intercessione del cardinale Reginald Pole.

In Sicilia, comunque, la situazione rimase off-limits per S., soprattutto dopo l'arrivo del severissimo inquisitore Bartolomeo Sebastiani, vescovo di Patti dal 1549 al 1568 e inquisitore di Sicilia dal 1549 al 1555: S. decise di andare in esilio a Venezia, dove fu benaccolto dal Consiglio dei Quaranta in ricordo dell'antenato Federico Spadafora, creato patrizio veneto nel 1409 e console di Venezia a Messina. S. si inserì nella vita pubblica veneziana, entrando all'Accademia degli Uniti nel 1552 e scrivendo, nel 1554, due orazioni per la morte del doge Marcantonio Trevisan (doge 1553-1554) e per la successiva elezione a doge dell'amico e protettore Francesco Venier (doge:1554-1556).

Nel 1553, per farsi restituire dignità e beni perduti, egli ritentò di coinvolgere l'imperatore Carlo V, che intercesse senza buon esito presso Sebastiani. Anche la stessa Repubblica di Venezia, attraverso il proprio ambasciatore Antonio de Mula, cercò perlomeno di ottenere un salvacondotto per il nobile messinese, ma il punto decisivo a suo favore S. lo segnò con il parere favorevole del viceré di Sicilia Ferdinando de Vega (viceré: 1550-1557): il 13 maggio 1555 S. fu perdonato dall'imperatore e gli fu tolta la confisca dei beni.

Tuttavia quello che sembrò il momento di gloria per S. si trasformò all'improvviso in una tragedia: dietro istigazione del nuovo inquisitore della Sicilia, Francesco Orosio, il papa Paolo IV (1555-1559) (l'inflessibile ex cardinale Gian Pietro Carafa) fece riaprire il caso di S., archiviato da Paolo III ed arrestare il nobile siciliano, traducendolo nelle carceri dell'Inquisizione a Roma l'8 settembre 1556. Stessa fine fecero anche Mario Galeota, il cardinale di Modena, Giovanni Morone e Andrea Ghetti da Volterra: con quest'ultimo e con Giovanni Francesco Verdura, ex vescovo valdesiano di Cheronissa, S. spartì la cella per tre lunghi anni.

Nel 1559, in seguito ai moti popolari del 18 e 19 agosto, scatenatisi alla morte del papa Paolo IV, S. riuscì, come anche Ghetti, a fuggire dalla galera. Ritornò quindi in Sicilia, fece liberare la sorella Matilde, imprigionata probabilmente per motivi legati alle vicende del fratello, e si mise a ricostruire il patrimonio di famiglia. Riuscì anche nell'impresa di farsi accettare come console generale della Repubblica veneta a Messina.

Il 16 aprile 1566 il decesso della contessa Giulia Gonzaga e la contestuale scoperta del suo ricco carteggio con molti esponenti dell'intellighenzia evangelica italiana mise nei guai diversi riformatori, come Pietro Carnesecchi: anche S. sarebbe potuto essere coinvolto in un nuovo processo a suo carico, ma la morte, giunta nel luglio 1566, gli diede finalmente la pace eterna.