Valdés (poi italianizzato in Valdesso, Valdessio o Val d'Esso), Juan de (ca. 1500-1541)

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Juan de Valdés

 

I primi anni

Il mistico e riformatore Juan de Valdés, figlio del gentiluomo Hernando de Valdés, corregidor (ufficiale incaricato del governo di una città) di Cuenca ed esponente di una famiglia di conversos (ebrei spagnoli convertiti), nacque nel 1500 ca. (altri autori propendono per un improbabile 1509 o 1510) appunto a Cuenca, in Castiglia (Spagna).

Nel 1524 egli ebbe la possibilità di assistere alle prediche del pensatore alumbrado Pedro Ruiz de Alcaraz, nel palazzo ad Escalona del marchese di Villena, e dal 1526 studiò, all'università di Alcalà de Henàres, greco (con lo studioso Francisco de Vergara), ebraico, latino e letteratura spagnola e italiana: ad Alcalà conobbe e si appassionò agli scritti di Erasmo da Rotterdam e di Martin Lutero.

Il fratello Alfonso

Juan era il fratello gemello (più giovane) di Alfonso (ca. 1500-1532): quest'ultimo, dal 1522 segretario della cancelleria dell'imperatore Carlo V (1519-1558), fu l'autore di un dialogo pesantemente anti-papale, stampato nel 1529, il Lactantius, nel quale egli attaccò il papa Clemente VII (1523-1534) come disturbatore della pace, istigatore della guerra e perfido ingannatore!

Ma, nonostante che il nunzio papale di Madrid, Baldassarre Castiglione (1478-1529) in persona avesse portato il caso davanti all'Inquisizione, lo stato d'impopolarità presso la corte imperiale in cui era caduto Clemente VII dopo il Sacco di Roma del 1527 e la potente protezione dell'imperatore verso il suo segretario fece sì che nulla potesse accadere al temerario Alfonso. Comunque la morte prematura, a causa della peste, del gemello di Juan a Vienna nel 1532 zittì ogni possibile inchiesta delle autorità religiose.

V. in Italia

Questi appoggi dall'alto furono meno evidenti per Juan, che, dopo aver scritto nel 1528-29, in forma anonima, il Dialogo de doctrina cristiana, in cui attaccava la corruzione della Chiesa Romana, sebbene difendesse nel contempo la legittimità del matrimonio di Enrico VIII d'Inghilterra con Caterina d'Aragona fu comunque processato per eresia dall'Inquisizione spagnola una prima volta nel 1529: egli fu quindi costretto a riparare definitivamente in Italia nell'inverno 1530-31, anche se sotto una copertura diplomatica, come agente imperiale, per conto di Carlo V, per sfuggire ad un secondo e più decisivo processo.

V. si stabilisce a Napoli

Dopo aver abitato a Roma, dove frequentò il circolo umanistico di Juan Ginés de Sepulveda, e viaggiato per la penisola italiana, per esempio nel 1533 a Bologna, al seguito del papa Clemente VII, e poi una prima volta a Napoli, all'indomani dell'elezione del papa Paolo III (1534-1549), V. si trasferì, nell'autunno 1535, definitivamente a Napoli e nel rione di Chiaia stabilì la propria residenza fino alla sua morte nel 1541.

Nella sua casa egli formò un circolo umanistico religioso, che coagulò tutto il fior fiore dell'intellighenzia riformista dell'epoca in Italia. Infatti la quantità e qualità di coloro che aderirono ai circoli valdesiani fu impressionante. Tra gli altri, si annoverano:

V. morì a Napoli nell'agosto 1541.

La dottrina

Influenzato dallo spiritualismo degli alumbrados, oltre che dalle dottrine di Erasmo e Lutero, il pensiero di V. ha avuto comunque un suo sviluppo autonomo. Come devoto mistico evangelico V. credeva nell'illuminazione dello spirito, come rivelazione di Dio del fatto che chi si abbandonava alla Sua misericordia, era da Lui chiamato alla salvezza. Sostanzialmente questa era una giustificazione sola fide, simile al concetto luterano, ma per V., solo mediante la negazione di se stessi, gli uomini potevano ricevere l'illuminazione divina e perciò conformarsi all'immagine di Dio, di cui erano fatti.

La fede era quindi un argomento puramente soggettivo, fondata cioè su un senso molto individuale della religione, in contrapposizione al magistero ufficiale della Chiesa e alle sue reinterpretazioni delle Sacre Scritture.

Sebbene tutte le forme esteriori della ritualità ufficiale cristiana fossero inutili orpelli da combattere, come la pensava del resto anche Erasmo, in quanto non necessari al cammino interiore verso Dio, tuttavia V. era favorevole ad uno stretto nicodemismo, come forma di schermo contro le intolleranze della Chiesa ufficiale. Infatti per il mistico spagnolo i veri cristiani erano molto pochi e dovevano agire con prudenza e riservatezza in maniera da non provocare polemiche e condanne.

Le opere

Detto dell'opera composta nel periodo spagnolo (Dialogo de doctrina christiana), in Italia il lavoro principale di V. fu senz'altro l'Alphabeto christiano, che insegna la vera via d'acquistare il lume dello Spirito Santo, o semplicemente Alphabeto christiano, tradotto da Marcantonio Flaminio e pubblicato postumo a Venezia nel 1545 e che ebbe una notevole popolarità nel mondo riformato italiano.

Ma V. scrisse una notevole mole di altri lavori tra cui un breve catechismo, dal titolo Qual maniera si dovrebbe tenere a informare insino della fanciullezza i figliuoli de Christiani delle cose della religiosa (Roma 1545) e opuscoli divulgativi, come In che maniera il Christiano ha da studiare nel suo proprio libro, il Modo che si de tenere nell'insegnare et predicare il principio della religione Christiana, le Dimande et risposte e le Cento e dieci divine Considerationi.  

Altro settore nel quale V. eccelleva era il commento alle Sacre Scritture, del quale si ricordano Il vangelo secondo San Matteo o i Commentari ai Salmi.  

Infine la produzione letteraria di V. comprese anche lavori non di stretto argomento religioso, come il trattato linguistico Diálogo de la lengua, un fondamentale contributo del pensatore castigliano per lo sviluppo dell'uso della sua lingua come idioma ufficiale della giovane nazione spagnola.