Vanini, Lucilio (Giulio Cesare) (1585-1619)

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Busto di Vanini a Taurisano

 

La vita

Il filosofo e libero pensatore Lucilio Vanini (ma firmò i suoi lavori come Giulio Cesare Vanini) nacque a Taurisano, in provincia di Lecce, nel 1585 circa, figlio dell'anziano (70 anni) e benestante funzionario Giovanni Battista Vanini e della sua giovane sposa, una nobildonna spagnola. Nel 1599 egli si iscrisse alla facoltà di legge all'Università di Napoli, ma nel 1603, probabilmente perché alla morte del padre era venuta a mancare ogni forma di sussistenza, decise di diventare un frate carmelitano, laureandosi poi in diritto civile e canonico il 6 giugno 1606. Per circa due anni V. rimase nell'area di Napoli, finché fu trasferito ad un monastero dell'ordine dalle parti di Padova: egli ne approfittò per iscriversi alla facoltà di teologia all'Università patavina nel 1608. A Padova V. studiò con impegno le opere di Averroé (1126-11989) e di Girolamo Cardano (1501-1576), ma soprattutto quelle del fondatore della cosiddetta corrente alessandrista, il filosofo studioso mantovano Pietro Pomponazzi (che egli ammirò definendolo "magister meus"), il quale nel suo Tractus de immortalitate animae del 1516 aveva negato l'immortalità dell'anima.

V. rimase a Padova fino al 1612, ma probabilmente non finì gli studi per il precipitare degli eventi: infatti egli si era messo in cattiva luce presso il generale del suo ordine religioso per la sua presa di posizione a favore della Repubblica di Venezia durante la polemica in atto tra la Serenissima e il Papa Paolo V (1605-1621), che voleva anteporre la sua autorità alle leggi veneziane. Il conflitto era stato scatenato dal famoso fra' Paolo Sarpi (1552-1623), che aveva perfino meditato di far passare la città alla Riforma.

Ordinato perentoriamente di rientrare a Napoli, V. preferì invece stabilirsi a Bologna e nel frattempo egli entrò in trattative segrete con l'ambasciatore inglese a Venezia, sir Dudley Carleton (1574-1632), per rifugiarsi in Gran Bretagna, dove effettivamente si recò passando dalla Svizzera, Germania, Olanda e Francia. Arrivato sul suolo inglese, V. abiurò la sua fede cattolica nel giugno 1612, salvo poi cambiare idea nel 1613 e fare domanda direttamente al Papa Paolo V per essere riaccolto nella Chiesa Cattolica non già come frate ma come sacerdote. Tuttavia questo piano giunse alle orecchie dell'Arcivescovo - anglicano - di Canterbury, George Abbott (1562-1633), suo mecenate, che lo fece imprigionare nella Torre di Londra per 49 giorni. In seguito, con la complicità di Antonio Foscarini (1570-1622), ambasciatore di Venezia a Londra, V. riuscì a fuggire: rientrato in Italia, egli soggiornò brevemente a Genova come precettore della famiglia del matematico Giacomo Doria.

Nel 1615 lo troviamo in Francia, a Lione, dove per allontanare il sospetto di ateismo... ...cadde nell'accusa di panteismo con la pubblicazione della prima delle sue due opere Amphitheatrum aeternae Providentiae Divino-Magicum (L'anfiteatro divino magico della Provvidenza eterna), seguita, l'anno successivo dalla De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis (I meravigliosi segreti della natura regina e dea dei mortali), edita a Parigi. Quest'ultima opera fu in un primo momento approvato dagli studiosi della Sorbona, ma dopo un riesame più approfondito il libro fu dichiarato eretico e bruciato sul rogo.

Nel 1617 V., che era stato fino a quel momento cappellano del futuro maresciallo di Francia, Francois de Bassompierre (1579-1646) (a cui aveva dedicato il De admirandis), pensò bene allora di cambiare aria, assumendo lo pseudonimo di Pompeo Uciglio e recandosi a Tolosa, dove diventò precettore dei figli e protetto di diversi aristocratici, come il conte de Caraman, e notabili come Gilles le Mazuyer (m. 1631) e Jean de Bertier barone de Montrabe, rispettivamente primo e terzo presidente del parlamento di Tolosa, tuttavia, nonostante questi suoi potenti protettori, nel novembre dell'anno successivo - 1618 - egli fu arrestato, in seguito ad una delazione, con l'accusa di organizzare delle conferenze ateistiche.

Nulla valse la sua appassionata autodifesa (ad un certo punto del processo, egli mostrò delle pagliuzze strappate dal terreno, affermando che già esse da sole convincono dell'esistenza di Dio): V. fu condannato a morte dal tribunale dell'Inquisizione. La sentenza fu eseguita il 9 febbraio 1619. Si racconta che affrontò il patibolo con dignità e che rifiutò l'assistenza di un prete con la frase "Morirò come un filosofo". Gli fu tagliata la lingua e fu strozzato sul patibolo, dopo di che il suo corpo fu bruciato sul rogo. Questo trattamento sul patibolo suscitò, due secoli dopo, il commento del famoso filosofo Arthur Schopenhauer: "Prima di bruciare vivo Vanini, un pensatore acuto e profondo, gli strapparono la lingua, con la quale, dicevano, aveva bestemmiato Dio. Confesso che, quando leggo cose del genere, mi vien voglia di bestemmiare quel dio"

Il pensiero

V. era un esponente della scuola filosofica italiana del naturalismo panteistico, che aveva già dato valenti pensatori - perseguitati anch'essi - come Bernardino Telesio, Giordano Bruno e Tommaso Campanella. V. accettava l'idea di Dio come essere assoluto, ma come filosofo panteista, non c'era separazione tra Dio e natura (se non come speculazione intellettuale), quindi la legge naturale era quella divina. Il mondo non aveva avuto origine per creazione, bensì è eterno ed è governato da leggi immutabili.

Riprendendo il pensiero di Pomponazzi, egli rifiutò il concetto di un'anima immortale, che era mortale come anche lo spirito. Da qui il corrosivo attacco nei confronti dei dogmi della religione e dei miracoli, che possono essere reinterpretati razionalmente. Un dogma, per esempio, che egli criticò fu quella della volontà di Dio di salvare tutti gli uomini, per il quale egli inventò un paradosso: se Dio vuole che tutti gli esseri umani si salvino, allora per contrasto il diavolo vuole che tutti si perdano. Tuttavia se tutti gli eretici e i miscredenti sono sicuramente persi e così dicasi anche di coloro che muoiono in peccato mortale e in disaccordo con la Chiesa, allora ciò significa che per tutta questa gente è stata fatta la volontà del diavolo, e non quella di Dio!

Un altro dogma che egli contestò fu quella della creazione dell'Uomo e con notevole anticipo sulle teorie di Charles Darwin (1809-1882), V. ipotizzò che gli uomini potessero discendere dalle scimmie.