Sant'Arialdo da Carimate (c. 1010-1066)

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Immagine iconografica di Sant'Arialdo da Carimate

 

Arialdo nacque a Carimate (ma, secondo altre fonti, a Cucciago), in Brianza, nel 1010 e studiò alla scuola della cattedrale di Milano, prima di divenire diacono ed eccellente predicatore a Varese. Nel 1045, egli fu nominato dal clero milanese come uno dei quattro candidati, assieme a Anselmo da Baggio, Landolfo Cotta e Attone al seggio di arcivescovo di Milano, dopo la morte di Ariberto di Intimiano.

Tuttavia, l'imperatore Enrico III, detto il Nero (1017-1056), disattendendo le aspettative dei milanesi e in contrasto con la tradizione di una nomina, di fatto, autonoma, decise di nominare Guido da Velate, uomo corrotto e simoniaco, che portò il livello di reputazione dell'arcivescovado di Milano ai minimi storici. Grande scandalo, per esempio, suscitava la pratica, nota come nicolaismo, alquanto diffusa all'epoca di Guido, dei religiosi, che vivevano palesemente in concubinato con donne.

Come reazione a questa corruzione dilagante, si formò il movimento riformatore dei patarini, che coinvolse a vario titolo tutti i candidati sopracitati, ma che vide soprattutto emergere la figura di A. e, in tono minore, quella di Landolfo Cotta. A. e Landolfo incitarono, infatti, con successo la popolazione a rifiutare i sacramenti dai sacerdoti corrotti e nicolaiti, riportando di attualità un atteggiamento, che ricordava quello degli intransigenti del III e IV secolo: Novaziano, Melezio di Licopoli e Donato di Numidia.

La reazione dell'arcivescovo Guido non si fece attendere e, prendendo pretesto dagli scontri armati fra opposte fazioni, esplosi il 10 maggio 1057 durante una processione, egli scomunicò sia A. che Landolfo. Tuttavia il papato stesso, uscito dallo sciagurato periodo di Papa Benedetto IX (l'unico che aveva regnato indegnamente per 3 pontificati, nel 1032-1044, nel 1045 e nel 1047-1048) era percorso da correnti riformatrici, ad incominciare già da Papa San Leone IX (1049-1054), il quale aveva condannato il concubinato e simonia dei preti nel 1050.

Dopo un tentativo non riuscito di Landolfo, A. riuscì a chiedere l'aiuto di Papa Stefano IX (1057-1058), ma fu solo il papa successivo, Niccolò II (1059-1061), ad inviare a Milano nel 1060 una delegazione, capitanata da Pier Damiani e da Anselmo vescovo di Lucca. Pier Damiani riuscì con un abile discorso a riportare temporaneamente la calma in città, ma le tensioni non erano certo sopite.

Nel 1061, in seguito alla morte di Landolfo, A. associò al movimento Erlembaldo, fratello di Landolfo stesso e nuovo capo militare dei patarini.

Nel frattempo era salito al trono di Pietro, Anselmo di Lucca (l'ex candidato arcivescovo di Milano, Anselmo da Baggio), con il titolo di Papa Alessandro II (1061-1073), il quale consegnò nella primavera del 1066 ad Erlembaldo due bolle pontificie di richiamo al clero milanese e di scomunica di Guido da Velate.

Tuttavia, in seguito ai durissimi scontri del 4 Giugno 1066, quando furono feriti sia Erlembaldo e A. (in maniera grave), che Guido stesso, quest'ultimo lanciò l'interdizione su Milano, finché A. fosse rimasto in città. Era una trappola mortale, nella quale A. purtroppo cadde: uscito dalla città venne tradito da un prete di S. Vittore all'Olmo, vicino a Milano, e catturato dalle guardie di Donna Oliva, nipote di Guido, che lo portarono per interrogarlo nel castello di Arona, sul Lago Maggiore. Da qui A. fu successivamente portato su un'isola del lago, dove, secondo il suo biografo Andrea di Strumi, egli fu torturato orrendamente da due chierici, i quali lo mutilarono delle orecchie, naso, occhi, mano destra, piedi, genitali e lingua, ed, una volta morto, lo gettarono nel lago, appesantito da alcuni massi. Era il 26 Giugno 1066.

Nel Maggio dell'anno seguente (1067) il corpo fu ritrovato, secondo la leggenda, intatto (cioè non ancora decomposto), e A. fu proclamato santo da Alessandro II, che, nel contempo, aveva provveduto a scomunicare Guido da Velate.