Gentile, Giovanni Valentino (1520-1566)

Giovanni Valentino Gentile, umanista e maestro di scuola calabrese, nacque nel 1522 a Scigliano, vicino a Cosenza. Da giovane fu influenzato dalle dottrine anabattiste di Giorgio Siculo, basate sul battesimo degli adulti e sul valore puramente simbolico (negando la transustanziazione) della Comunione. Inoltre G. prese parte a Napoli ai circoli valdesiani (ispirati cioè al pensiero di Juan de Valdès) e fece parte dell'Accademia Cosentina, poi denominata Telesiana in onore di Bernardino Telesio.

Nel 1546 partecipò ai Collegia Vicentina a Vicenza, allineandosi alle idee antitrinitarie (esiste un solo Dio; Gesù era un uomo ispirato da Dio) di Lelio Sozzini. Perseguitato dal Consiglio veneziano dei Dieci, fuggì nel 1557 con Apollonio Merenda in Svizzera a Ginevra. Qui, nel 1558, si rese protagonista, assieme a Giovanni Paolo Alciati della Motta e a Giorgio Biandrata, di una forte polemica contro Calvino. Infatti il 18 maggio 1558 quest'ultimo aveva chiesto a tutti gli italiani esuli a Ginevra di firmare un documento di fede trinitaria, che G., in un primo momento, si rifiutò di firmare, ma poi sottoscrisse probabilmente senza convinzione.

Il G., assieme al Biandrata, aveva sposato la causa triteista, basata sulla separazione delle tre persone Divine: Padre, Figlio e Spirito Santo in tre Dei distinti. Di questi, però, solo il Padre era veramente fonte di divinità, mentre gli altri due erano subordinati. Queste idee furono successivamente assorbite dal filone unitariano dei Sozzini, che propugnava l'esistenza di un solo Dio, affermando la natura umana di Gesù e quella di potere santo per lo Spirito Santo.

Com'era prevedibile, un mese dopo la firma del documento di Calvino, G. fu denunciato, assieme a Nicola Gallo, e processato per eresia e bestemmia direttamente da Calvino in persona. Indubbiamente gli andò meglio del povero Michele Serveto, arso sul rogo: benché in un primo momento G. fosse stato condannato alla decapitazione, l'esecuzione fu sospesa ed egli venne condannato a girare, preceduto dagli araldi con le trombe, per la città in camicia, a capo scoperto e a piedi nudi, per chiedere scusa pubblicamente alle autorità. Oltre a ciò, dovette lui stesso dare alle fiamme i propri scritti.

A quel punto il G., povero in canna, pensò ad un nuovo trasferimento dapprima a Farges (nel Pays de Gex bernese), da Matteo Gribaldi Mofa, poi a Lione, dove cercò di pubblicare il suo libretto Antidota, di forte sapore antitrinitariano. Recatosi da Gribaldi, che stava insegnando a Grenoble, G. fu nuovamente fatto arrestato dal balivo di Gex, ma, nell'attesa di essere processato, si mise ulteriormente nei guai per aver pubblicato una professione di fede antitrinitariana con dedica allo stesso balivo di Gex (cosa che fece imbestialire quest'ultimo!). Riuscì faticosamente a farsi scagionare, dimostrando che i suoi attacchi erano diretti solamente contro Calvino e contro l'interpretazione della Trinità che il riformatore ginevrino dava, ma fu per questo pesantemente attaccato da Calvino stesso nel suo Impietas Valentini Gentilis del 1561.

Emigrò quindi, assieme ad Alciati della Motta, nel 1562 in Polonia, a Pinczòw, al seguito del Biandrata e vi rimase fino al 1566, quando si fecero sentire gli effetti dell'Editto di Parczòw del 1564, emanato dal re polacco Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1548-1572) e fortemente voluto dal nunzio di Cracovia, cardinale Giovanni Francesco Commendone (1523-1584). L'editto ordinava, infatti, l'espulsione immediata per tutti gli stranieri non di fede cattolica.

A questo punto, il G. si recò, assieme a Bernardino Ochino e ad Alciati, ad Austerlitz (in Moravia) presso Nicola Paruta, ma anche questo gruppo ebbe vita breve per la morte dell'Ochino nel 1565. Il G. ritornò quindi in Svizzera, a Berna, confidando nel fatto che l'ambiente fosse cambiato: erano, infatti, morti sia nemici, come Calvino nel 1564, che amici, come Gribaldi di peste nel 1565.

Tuttavia G. non riuscì a stare tranquillo, mettendosi ben presto nei guai per aver provocatoriamente sfidato i teologi protestanti di Francia e Savoia ad un dibattito pubblico sulla Trinità di Dio: la fazione perdente, secondo lui, sarebbe dovuta essere condannata a morte! Fu invece arrestato, sospettato di essere un anabattista (accusa molto grave in quel momento) ed incarcerato a Berna nel 1566. Sia Theodore de Béze, e Heinrich Bullinger, che gli altri riformatori svizzeri consigliarono alle autorità bernesi la massima severità contro questo impenitente antitrinitario italiano, e, nonostante che Simone Simoni, visitandolo in carcere, lo avesse esortato alla prudenza nella sua polemica nel confronti del calvinismo, evidentemente G. non seguì questo consiglio: infatti il 10 settembre 1566 fu giustiziato mediante decapitazione. Ma anche durante il percorso per il patibolo, egli proseguì nella sua polemica, accusando i suoi carcerieri di essere sabelliani.