Spiera, Francesco (1502-1548)

La vita

Francesco Spiera nacque nel 1502 a Cittadella, vicino a Padova, dove studiò legge, diventando in seguito un noto avvocato. Verso i quarant'anni, S. si accostò, assieme al nipote Girolamo Facio, alle idee riformiste, presentategli dall'amico umanista e grammatico Pietro Speciale (o Speziale), maestro di scuola a Cittadella fin dal 1536.

Il 15 novembre 1547, su segnalazione di cinque sacerdoti e del vescovo di Vicenza, S. e suo nipote furono denunciati all'Inquisizione per idee luterane. In particolare lo si accusò di aver tradotto il Padre Nostro in italiano, di aver letto libri proibiti come il Beneficio di Cristo di Benedetto Fontanini da Mantova, la Tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri, il Pasquino in estasi di Celio Secondo Curione, e la Opera utilissima intitolata dottrina vecchia et nuova dell'umanista Urban König (Regius) (1489-1541), oltre ad aver propagandato idee luterane quali il rifiuto dell'autorità papale, del rito della messa, del valore delle opere, dell'intercessione dei santi, del suffragio dei morti, dell'esistenza del Purgatorio ed infine di aver messo in dubbio il significato canonico del Sacramento dell'Eucaristia.

Fu arrestato e messo nella stessa cella dove già era detenuto da quattro anni un altro accusato d'idee riformiste, Baldo Lupetino. Il 24 maggio 1548 iniziò l'interrogatorio davanti al Tribunale dell'Inquisizione: S. un po' ammise gli addebiti, un po' si difese, ma, dopo soli cinque giorni di processo, ebbe un crollo psichico (secondo la versione del Vergerio, pensò alle possibili conseguenze per sua moglie e i suoi figli) e accettò di abiurare pubblicamente il 26 giugno dello stesso anno nella cappella di San Teodoro, in San Marco a Venezia, seguito da una seconda abiura a Cittadella il 1 luglio.

A quel punto, subentrò nella mente dell'avvocato di Cittadella la convinzione d'aver tradito Gesù Cristo e il Vangelo, e di essere destinato alla dannazione eterna. Egli entrò quindi in una profonda depressione, si ammalò rapidamente e nonostante le cure dei medici e il conforto di Pier Paolo Vergerio, accorso al suo capezzale e che si offrì di pagare le relative spese mediche, le sue condizioni di salute peggiorarono vistosamente in pochi mesi. Nel tentativo di ottenere cure migliori, egli fu portato a Padova, in casa di un parente, Giacomo Nardini, ma in dicembre rientrò a Cittadella, dove il 27 dicembre 1548, schiacciato dal rimorso, S. si spense a soli 46 anni.

Le reazioni in seguito alla sua morte

Il caso Spiera ebbe una gran diffusione negli ambienti protestanti del Cinquecento grazie anche agli autorevoli personaggi, che, colpiti dal caso umano e religioso, fecero resoconti molto particolareggiati noti anche all'estero.

Già si è detto di Pier Paolo Vergerio, che dichiarò che dall'episodio dell'avvocato di Cittadella aveva tratto la forza di prendere la via dell'esilio. Fu, secondo alcuni autori, la sua "esperienza della torre" (Turmerlebnis), di luterana memoria. Ma l'agonia colpì anche i testimoni oculari Bartolomeo Fonzio e Matteo Gribaldi Mofa, che scrisse a riguardo la Historia de quondam quem hostes Evangelii in Italia coegerunt abijcere agnitam veritatem, influenzò Celio Secondo Curione, che redasse una Francisci Spierae (...) historia, e infine lo stesso Calvino, che ne fece riferimento in una polemica sorta con i luterani, dopo che quest'ultimi avevano accusato i calvinisti di far morire la gente disperata.

La polemica era sorta dopo la comparsa di un'epistola del 1550 di Giorgio Siculo: Epistola di Georgio Siculo servo fedele di Jesu Christo alli cittadini di Riva di Trento contra il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de' Protestanti. Lo scritto aveva una valenza anti-protestante, non certo cattolica, ma di stampo anabattista o tipicamente del filone di pensiero di Miguel Serveto, e s'inserì nella polemica del Siculo contro la dottrina calvinista della predestinazione.