Vergerio, Pier Paolo, vescovo di Capodistria (1498-1565)

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Il vescovo Pier Paolo Vergerio

 

I primi anni

Pier Paolo Vergerio nacque nel 1498 a Capodistria, ai tempi parte della Repubblica di Venezia, da una famiglia nobile impoverita, che contava tra i propri avi l'umanista Pier Paolo Vergerio senior (1370-1444), in onore del quale il padre di V., Girolamo, impose il nome al più famoso dei suoi otto figli. A causa della situazione economica non certa agevole della famiglia, ben cinque figli di Girolamo furono avviati alla carriera al servizio della Chiesa: Giacomo (frate francescano), Aurelio [m. 1532, segretario di Papa Clemente VII (1523-1534)], Giovanni Battista (m. 1548, vescovo di Pola), Coletta (suora) e il nostro Pier Paolo.

Questi, dopo un periodo di studi a Venezia, si iscrisse alla facoltà di legge a Padova nel 1517 e il 21 maggio 1524 si laureò in diritto civile. Successivamente V. continuò a risiedere come procuratore legale a Padova, dove frequentò il circolo culturale raccolto intorno al poeta e futuro cardinale Pietro Bembo, protagonista, assieme al grecista d'origine albanese Nicolaus Leonicus Thomaeus (Niccolò Leonico Tomeo) (1456-1531), del primo lavoro di V., il dialogo De republica Veneta.

V. al servizio del papato

Nel 1526 V. sposò Diana Contarini, ma la moglie morì solo un anno dopo e nel 1532, seguendo il fratello Aurelio, segretario di Papa Clemente VII, egli si recò a Roma, dove entrò, anch'egli, come segretario al servizio del pontefice. Alla morte di Aurelio nel settembre 1532, Clemente VII diede a V. il ruolo di segretario del codice e del cifrario segreto, che era stato del fratello defunto. Ma V. non poté godere della sua nuova posizione, perché fu immediatamente mandato, nell'ottobre dello stesso anno, in missione a Venezia per cercare di convincere la Serenissima ad entrare in un'alleanza anti-turca.

Cambiate le priorità di tema di politica estera del papato, nella primavera 1533 V. fu inviato a Vienna come nunzio pontificio presso Ferdinando I, arciduca d'Austria (arciduca, poi imperatore: 1521-1564), che lo accolse favorevolmente e lo convinse di intercedere, presso la Santa Sede, a favore di una pace stipulata con i turchi, respinta da Clemente VII.

Significative di questo periodo furono le lettere scambiate tra V. e il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi (entrambi avrebbe aderito in seguito alla Riforma) su come fermare il dilagare dell'eresia luterana!

Nel 1534 morì Clemente VII ed il nuovo papa Paolo III (1534-1549) inviò V. nel 1535 in Germania con lo scopo di indagare sul gradimento dei principi tedeschi della sede di Mantova per il concilio, che il papa voleva convocare. V. ebbe anche un incontro con Martin Lutero a Wittenberg nel novembre dello stesso anno, ma non ne fu affatto impressionato favorevolmente, anzi lo considerò uno spaccone, pronto ad accusare il papa ad ogni occasione, e che - secondo V. - sarebbe stato ridimensionato, una volta fosse stato pubblicamente condannato durante il concilio.

Vescovo di Capodistria

Rientrato in Italia nel 1536, nel maggio dello stesso anno, probabilmente dopo essere stato ordinato e consacrato vescovo, V. fu ricompensato con il piccolo vescovado di Modrus (o Modrussa), vicino a Fiume, in Croazia. In settembre, grazie all'intermediazione di Ferdinando I, gli fu offerto il vescovado, strategicamente più interessante, di Capodistria, sebbene sulla sede istriana, già piuttosto povera di proventi (circa 200 ducati l'anno), gravava oltretutto l'obbligo di pagare una lauta pensione di 50 ducati al capodistriano Antonio Elio, segretario del cardinale Alessandro Farnese (1520-1589). Quest'ultimo, nipote di Paolo III, sarebbe diventato negli anni successivi uno dei principali accusatori di V.

Questa situazione amareggiò moltissimo il neo-eletto vescovo, i cui tentativi di ribellarsi da questo pesante giogo furono bloccati dal nunzio apostolico a Venezia, Girolamo Verallo [1497-1555, zio del futuro papa Urbano VII (1590)], dal cardinale Farnese e perfino da Paolo III in persona: V. meditò allora di rinunciare alla diocesi e nel frattempo fece diversi viaggi tra il 1536 ed il 1541.

V. e gli spirituali

Fu così che egli conobbe a Mantova il cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563), simpatizzante per la corrente degli ecclesiastici spirituali, attraverso il quale V. apprese le predicazioni di Bernardino Ochino, ma soprattutto a Roma nel 1539 entrò in contatto con i cardinali Gasparo Contarini e Reginald Pole, con Alvise Priuli, Vittoria Colonna e Marcantonio Flaminio. Nel marzo 1540, al seguito del cardinale Ippolito d'Este (1509-1572), egli intraprese in viaggio verso la Francia, passando prima da Ferrara, dove conobbe Renata d'Este, cognata del cardinale Ippolito e nota protettrice dei riformati, perchè di fede calvinista ella stessa.

In Francia, V. fu incaricato dal re Francesco I (1515-1547) di presiedere al Colloquio di religione di Ratisbona dell'aprile 1541, che doveva sviluppare un documento comune tra cattolici e protestanti e al quale partecipò anche Gasparo Contarini, come legato pontificio. Qui ebbe la possibilità di conoscere i principali riformatori del momento, come Melantone, Bucero e Jakob Sturm (1489-1553).

Primi sospetti sulla sua ortodossia

Finalmente nell'estate 1541 V. rientrò nella sua diocesi di Capodistria, dove lottò contro gli abusi e si dedicò al miglioramento disciplinare del clero, ma si mise in contrasto con i propri superiori, come il nunzio apostolico a Venezia, Giorgio Andreassi. Ma cresceva nel frattempo il suo impegno riformatore: nel 1542 egli fece pubblicare a Venezia il suo discorso De unitate et pace Ecclesiae, dove auspicava la conciliazione di cattolici e protestanti e, in sintonia con il fratello Giovanni Battista, vescovo di Pola, promulgò la diffusione del Beneficio di Christo, di Benedetto Fontanini da Mantova nella sua diocesi, e questo aumentò i sospetti di eresia nei suoi confronti: un primo procedimento fu aperto nei suoi confronti il 13 dicembre 1544, ma fu poi prosciolto.

Nel dicembre 1545 V. visitò Brescia, dove fu ospite di Fortunato Martinengo, ma il suo viaggio fu interpretato dai suoi nemici, soprattutto dal vescovo di Milopotamos e Cheronissa (sull'isola di Creta, in Grecia), Dionisio Zanettini, detto il Grechetto (vescovo: 1538-1549), come parte della sua strategia per diffondere l'eresia luterana. Nonostante i crescenti sospetti sul suo conto, nel gennaio 1546 V. viaggiò alla volta di Trento per prendere parte al Concilio (lavori ufficiali: 1545-1563), ma la reazione dei legati pontefici e del cardinale ospitante, Cristoforo Madruzzo (1512-1578), fu cortese, ma categorica: solo se V. avesse dimostrato la sua estraneità alle accuse di eresia, sarebbe stato ammesso ai lavori del Concilio.

V. accusato di eresia

Rientrato, deluso, alla sua diocesi, V. si accorse oramai di essere al centro di un procedimento ecclesiastico contro di lui. Infatti il 2 giugno 1546 il nunzio apostolico Giovanni Della Casa (1503-1556) lo mise ufficialmente sotto accusa ed egli fu interrogato davanti al Tribunale dell'Inquisizione, dove si batté strenuamente per essere riconosciuto innocente, nonostante l'offensiva inesorabile del cardinale Farnese e dei suoi alleati.

Poco dopo, tuttavia, avvenne l'episodio, che si può definire, parafrasando la vita di Lutero, l'esperienza della torre (Turmerlebnis) del prelato di Capodistria: egli infatti assistette all'agonia di Francesco Spiera, l'avvocato di Cittadella (vicino a Padova), che, dopo essere stato costretto ad abiurare, si era convinto di aver tradito Gesù Cristo e il Vangelo, e di essere destinato alla dannazione eterna, entrando quindi in una profonda depressione, e ammalandosi rapidamente. Nonostante le cure dei medici e il conforto di V., accorso al suo capezzale, Spiera morì il 27 dicembre 1548, schiacciato dal rimorso, a soli 46 anni.

L'episodio dell'avvocato di Cittadella (raccontata poi nella sua opera Historia di Francesco Spiera del 1551), unito alla morte dell'amato fratello Giovanni Battista (al quale successe, come vescovo di Pola, proprio Antonio Elio, il protetto del cardinale Farnese!), diede a V. la forza di prendere la via dell'esilio: il 1 maggio 1549 V. fuggì dall'Italia per giungere, due settimane dopo, a Chiavenna, dal 1512 parte del cantone protestante dei Grigioni. Nel frattempo, egli fu condannato (in contumacia) per eresia a Roma il 3 luglio 1549 sulla base di 34 capi d'accusa.

V. in Svizzera

Nel Cantone Grigioni egli fu accolto calorosamente dalla comunità riformata locale, formata da fuoriusciti italiani, come il pastore di Chiavenna Agostino Mainardi, l'ex predicatore agostiniano Giulio Della Rovere o l'umanista sardo Sigismondo Arquer.

In seguito V. si recò a Coira per conoscere i capi delle chiese protestanti del cantone, poi si stabilì a Poschiavo, dove operava Dolfino Landolfi, unico stampatore italiano protestante della Valtellina e che pubblicò diversi scritti che l'ex vescovo di Capodistria si era portato con sé nella fuga. Altre importanti opere, come i Dodici trattatelli o le Otto difesioni furono invece pubblicate a Basilea all'inizio del 1550. Nello stesso periodo, con sorprendente umiltà, accettò di diventare pastore della chiesa riformata di Vicosoprano, in Val Bregaglia, che trasformò in una valle di sicura fede riformata.

Nel stesso 1550 conobbe Celio Secondo Curione, nei confronti del quale comunque sviluppò un'antipatia contraccambiata: V. accusò infatti l'umanista torinese di essersi convertito all'anabattismo e questo ricambiò l'attacco, accusando V. di introdurre concetti luterani in zone svizzere di fede zwingliana. Tuttavia V. non amava le dispute teologiche e le sottigliezze, che dividevano il mondo protestante: il suo riferimento era l'irenismo di Melantone. Per questo, esasperato dalle interminabili polemiche tra Mainardi e l'anabattista Camillo Renato, V. decise di accettare, nel 1553, l'offerta del Duca Christoph del Württemberg (1550-1568) di trasferirsi a Tubinga come consigliere religioso.

V. in Germania

Arrivato quindi a Tubinga nel 1553, V. trovò un ambiente ideale per lavorare: il ducato era stato convertito alla Riforma dal moderato luterano Johannes Brenz. Su incarico del duca, V. viaggiò in Germania, Austria e Polonia (qui incontrò il principe Alberto di Brandeburgo), dove cercò inutilmente di riappacificare le varie anime del protestantesimo locale, cioè luterani, calvinisti e Fratelli Boemi sulla base della Confessio Augustana.

Nel 1555 V. fu contattato dall'umanista Olimpia Morato, residente a Heidelberg, che gli chiese di tradurre il Grande Catechismo di Lutero in italiano, ritenendo che potesse essere di grande utilità "ai nostri italici, specialmente alla gioventù" (tuttavia V. non poté esaudire la richiesta). Un'altra esule italiana, la nobile Isabella Bresegna (ca.1510-1567) (moglie di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza), già in contatto con i circoli valdesiani a Napoli, fu successivamente convertita alla Riforma ed andò esule in Germania proprio presso l'ex vescovo di Capodistria.

Ma l'attività principale di quest'ultimo fu quella di polemista e pubblicista, che ebbe un nuovo impulso dopo l'incontro con il sacerdote sloveno Primoz Trubar (1508-1586), passato all'evangelismo e diventato pastore luterano in Germania. Il capodistriano non era un gran teologo, ma sicuramente un ottimo divulgatore e dalla collaborazione dei due nacquero diverse opere religiose in lingua corrente per un uso più ampio, tra cui la prima traduzione in sloveno del Nuovo Testamento. In seguito i due corregionali, con l'aiuto del barone Johannes Ungnad von Sonneck (1493-1564), ex governatore della Stiria e della Carinzia, impiantarono una tipografia e un istituto biblico a Urach (vicino a Tubinga), che, dal 1561 al 1564, sfornò un'impressionante serie di opere religiose (37 libri per un totale di 25.000 copie) in sloveno, croato e italiano, tra cui il Piccolo Catechismo di Lutero, il Beneficio di Christo, la Confessio Augustana e la sua relativa Apologia.

V. morì a Tubinga il 4 ottobre 1565.