Buonaiuti, Ernesto (1881-1946)

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Ernesto Buonaiuti

I primi anni

Nato a Roma il 25 giugno 1881, quarto di sette fratelli, Ernesto Buonaiuti era figlio di un modesto tabaccaio, che lo lasciò orfano in gioventù. Nel dicembre 1894 egli maturò la decisione di farsi sacerdote e l’anno successivo entrò nel seminario di Sant’Apollinare, a Roma, ma il desiderio di allargare le proprie conoscenze al di là del rigido programma del seminario, con studi di lingua straniera e lettere indipendenti, portò a diversi richiami e provvedimenti. Una testimonianza del suo spirito indipendente di questo periodo fu una lettera aperta, firmata con lo pseudonimo di Novissimus, inviata nel 1901 all’attenzione di Romolo Murri e pubblicata sulla rivista “Cultura Sociale”, in cui B. ipotizzò una futura società, dove era stata abolita la proprietà privata, ed il governo era fondato su comunità lavoratrici.

Il pensiero e gli scritti di B. nel filone modernista

B. venne ordinato sacerdote nel 1903, poco dopo la nascita del movimento modernista, che aveva preso avvio con la pubblicazione nel novembre 1902 dell’opera L’Evangile et l’Eglise (Il Vangelo e la Chiesa) del teologo francese Alfred Loisy. Di questo movimento B. sarebbe diventato uno degli esponenti di punta, benché egli non gradisse affatto la denominazione di modernismo, preferendo quella di “arcaismo”, come anelito di ritornare ai valori autentici della primitiva predicazione cristiana. B. riteneva fondamentale il recupero del valore mistico della fede, e criticava la struttura giuridica-gerarchica della Chiesa Cattolica.
Inoltre B. contestò la dottrina eucaristica della transustanziazione, perché, a suo dire, si perdeva così il valore di fratellanza che accomunava i fedeli nel rito. Si riporta infine che egli non desse una particolare importanza al ruolo divino di Cristo, considerandolo più come un profeta. Per la verità, quest’ultima dottrina era desunta dalle sue lezioni, e non tanto dagli scritti.
A proposito di questi ultimi, B. iniziò a pubblicare i primi testi, per lo più anonimi o scritti con altri autori: si ricordano il “Programma dei modernisti” (1907) e le “Lettere di un prete modernista” (1908), ma, dall’altra parte, egli prese le distanze da altri esponenti del modernismo italiano, come il già citato Murri e il suo movimento democratico-cristiano, e lo scrittore Antonio Fogazzaro. Il suo romanzo “Il Santo”, pur condannato dal Sant’Uffizio nel 1906, attrasse comunque le critiche di B., che gli attribuì un valore filosofico nullo e lo considerava un “vero insuccesso come espressione delle idee proprie del modernismo”.

Le condanne

Dopo l’enciclica “Pascendi dominici gregis” dell’otto settembre 1907, che condannava il modernismo, la posizione di B. divenne sempre più difficile. Pur vincendo un concorso, battendo il suo concorrente Salvatore Minocchi, per la cattedra di Storia del Cristianesimo all’Università La Sapienza di Roma nel 1913, B. fu considerato dalla sua gerarchia ecclesiastica una sorta di “sorvegliato speciale”: una persona di fiducia del Vaticano doveva, infatti, assistere alle sue lezioni e riferire al Sant’Uffizio di qualsiasi deviazione modernista. Nel 1916 B. fu sospeso a divinis, assieme ai tre sacerdoti Primo Vannutelli, Nicola Turchi (1882-1958) e Bacchisio Raimondo Motzo (1883-1970),per aver pubblicato una Rivista di scienza delle religioni senza le necessarie autorizzazioni. Venne comunque reintegrato dopo un giuramento di fedeltà alla Chiesa, prestato il 13 luglio dello stesso anno, salvo poi essere scomunicato nel 1921, per essere nuovamente riammesso dopo un’ulteriore professione di fede.
Infine nel 1925 gli fu comminata una nuova scomunica, aggravata il 25 gennaio 1926 dalla formula espressamente vitando, un pesante provvedimento, secondo il quale lo scomunicato doveva essere isolato dagli altri fedeli, non poteva varcare la soglia di un luogo sacro (che, in questo caso, doveva essere riconsacrato) e non poteva essere sepolto in terra consacrata.
A quest’isolamento dalla Chiesa Cattolica, si unì quello del regime fascista: poco dopo il sopraccitato provvedimento, B. fu privato della sua cattedra universitaria, pare per intervento diretto di Mussolini e assegnato a compiti extra-accademici. Qualche anno dopo, arrivò la seconda mazzata, quando B., assieme ad alti 11 docenti universitari, si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo: il 1 gennaio 1932 B. fu dispensato dal servizio accademico.

L’aiuto dal mondo protestante

Isolato ed emarginato, B. trovò conforto e aiuto nell’ambiente protestante italiano e svizzero: il pastore metodista wesleyano Emanuele Sbaffi gli diede l’incarico di tenere dei corsi di esegesi e di teologia del Nuovo testamento, alla scuola teologica metodista a Roma, oltre a permettergli di predicare nella chiesa metodista, sempre a Roma, ma questa collaborazione fu stroncata dall’intervento della polizia fascista.
Successivamente egli poté sviluppare rapporti con ambienti evangelici del Grigione italiano (attraverso i buoni uffici del pastore riformato di Poschiavo Oscar Zanetti e del pastore metodista di Brusio Pier Paolo Grassi), tenere corsi presso la Facoltà teologica evangelica del cantone di Vaud, a Losanna, e numerose conferenze Eranos ad Ascona (in Cantone Ticino), dove conobbe studiosi del pensiero teosofico ed orientale.
Eppure, nonostante le lusinghe, B. rimase profondamente convinto della sua fede cattolica e nel 1936 respinse cortesemente l’offerta di diventare professore ordinario della Facoltà teologica di Vaud, giacché ciò avrebbe implicato l’adesione alla chiesa evangelica.

Gli ultimi anni

Alla fine della seconda guerra mondiale, cadde il fascismo e tutti i professori che avevano rifiutato di giurare fedeltà al regime furono reintegrati nelle loro funzioni universitarie. Tutti …eccetto B., perché il Vaticano fece valere un articolo del Concordato del 1926 con lo stato fascista in base al quale egli, sacerdote scomunicato, non poteva occupare una cattedra in un’università statale. Alla fine un decreto del 1945 gli restituì il titolo universitario, ma gli fu vietato di tenere delle lezioni e gli furono assegnati solo incarichi extra-accademici.
Nel marzo 1946 B. ebbe un primo attacco miocardico che lo indebolì gravemente: ne morì il 20 aprile 1946. Un’omelia pronunciata in suo ricordo portò alla scomunica vitando per un altro prelato, nell’occhio del Sant’Uffizio: Ferdinando Tartaglia.
Nei suoi ultimi giorni, la Santa Sede fece diversi tentativi per cercare di riportarlo nel proprio alveo, ma B. resistette fieramente e, nonostante la scomunica, venne sepolto in terra consacrata.