Jean de Jandun (Giovanni di Janduno) (ca.1280-1328)

La vita

Giovanni di Janduno, filosofo averroista, teologo e scrittore, nacque a Jandun (nella regione delle Ardenne, nell'attuale Belgio) nel 1280 ca. e studiò teologia all'università di Parigi, laureandosi come maestro nella facoltà di arti al Collegio di Navarra, dove dal 1315 diventò docente.

Come scrittore compose dapprima un'opera dal titolo De Laudibus Parisiis, ma fu soprattutto famoso per aver scritto nel 1324, assieme a Marsilio da Padova, il celebre libro Defensor pacis, un'appassionata difesa della supremazia dell'Impero sulla Chiesa, la quale, secondo gli autori, non doveva occuparsi di faccende secolari, come le punizioni ed esecuzioni di eretici, ma soltanto di conversioni o punizioni spirituali (vedi Marsilio da Padova per maggiori dettagli). Questo libro mise nei guai i due autori presso Papa Giovanni XXII (1316-1334), il cui concetto del potere papale era quanto di più distante si potesse immaginare dalle tesi espresse nel Defensor pacis.

Infatti nel 1327 G. e Marsilio furono scomunicati dal papa (che li definì: duos perditionis filios et maledictionis alumnos): tuttavia essi erano già riusciti a fuggire nel 1326 presso l'imperatore Ludovico IV il Bavaro, e lo seguirono nella sua calata in Italia del 1327. Furono raggiunti a Pisa nel 1328 da altri due celebri perseguitati da Papa Giovanni: il generale dei Francescani Michele di Cesena e il famoso filosofo della Scuola Scolastica Guglielmo d'Ockham.

G. morì a Todi nel 1328.

Le opere e il pensiero

Come si diceva, G. fu un filosofo averroista: scrisse infatti diversi commentari alle opere, come la Metafisica e la Fisica, di Aristotele. Il suo principale punto fermo fu la divisione tra fede e ragione ed alcuni critici lo accusò di "doppia verità", quando egli ammetteva che l'intelletto agente era inconfutabile dal punto di vista filosofico, ma, nello stesso tempo, che ogni uomo aveva un'anima intellettiva, secondo la rivelazione cristiana.

Questa doppia verità si applicava anche all'eternità del mondo, che era, secondo G., filosoficamente dimostrabile essere vero, ma che, al contrario, non lo era teologicamente, giacché per il cristiano il mondo era stato creato, secondo le Scritture.